Cosa significa essere una comunità profetica?
Per essere una comunità profetica
1 Pietro 2,9
Come chiesa stiamo per vivere una transizione importante. Il Signore ci ha donato uno spazio proprio nel centro di Roma che, una volta sistemato, diventerà un luogo di aggregazione e di propulsione, un luogo di ritrovo e un luogo di invio nella città al servizio della causa dell’evangelo. Questa transizione è allora un momento utile per fare il punto sulla nostra vocazione come chiesa. Chi siamo come chiesa? Qual è la nostra vocazione principale? La nostra dichiarazione programmatica afferma che vogliamo essere una comunità di discepoli che servono la città di Roma in modo profetico, sacerdotale e regale. Dedicheremo allora le prossime domeniche ad interrogarci cosa significhi tutto ciò, iniziando dalla nostra missione di essere una “comunità profetica”.
Visto che Gesù è il profeta di Dio, noi che abbiamo creduto in Lui siamo profeti nel senso di avere il compito di annunciare la buona notizia di Gesù. Questo compito ha una natura fondamentalmente verbale, legata alla comunicazione di un messaggio, al racconto di una storia: la storia di Dio che impatta la nostra storia.
Per vivere c’è bisogno di una storia. Una storia che dia senso a quello che si è e si fa. Una storia che risponda alle domande di fondo della vita: da dove veniamo, chi siamo, dove abitiamo, cosa facciamo, cosa è andato storto, come rimediarvi, cosa sperare e per cosa vivere. Tutte le persone vivono grazie ad una storia dentro cui la loro vita scorre. Anche una città come Roma ha una storia dentro cui le persone abitano. Il profeta entra nella storia prevalente di un posto e di un tempo e ne racconta una diversa, invitando chi l’ascolta a prestare attenzione. Mosè è profeta perché nel suo tempo dice: voi siete un popolo schiavo, ma Dio ci libererà e farà di noi un popolo libero. Isaia è profeta perché nel suo tempo dice: “Faraone vi dice di fare alleanza con lui, ma il Signore dice di fidarsi di Lui”. Gesù è profeta in quanto, nel suo tempo, proclama: “Mosè vi ha dato la sua legge, ma io vi dico di credere in me!”. Paolo è profeta perché ad Atene dice: “Avete tante storie religiose, ma io vi annuncio la storia di chi è risorto dai morti!”.
La chiesa è una comunità di profeti se, nella storia prevalente del luogo e del tempo che abita, ha la franchezza di dire: ehi, c’è un’altra storia, una buona storia, che è la storia di Dio che meglio descrive la nostra storia e che ci presenta una via di salvezza per la nostra vita persa. La chiesa a Roma sarà una comunità di profeti se si nutre della storia dell’evangelo, ha il coraggio di annunciarla al cuore della città ed è in grado di mostrarne la straordinaria forza trasformatrice partendo da sé e irradiandola al di fuori.
1. Capire la storia di Roma e individuarne i ”profeti”
Non si può essere profeti dell’evangelo se non si conosce la storia delle persone a cui ci si rivolge. Un profeta che vuole raccontare il suo messaggio senza capire quale sia la storia intorno a sé è un marziano o una persona talmente strana da essere sconnessa dalla vita reale. Molte chiese vogliono dire il loro messaggio, ma non cercano di capire quale sia la storia intorno a loro; per questo il loro vangelo risulta bizzarro e fuori dal mondo. Prima di parlare, il profeta deve capire quale sia la storia che plasma la vita intorno a sé.
Roma è una città che ha una narrazione che tiene insieme le persone che ci vivono. Conosciamo la storia di Roma? Quale narrazione è prevalente qui? Non è facile semplificarla in poche frasi, però bisogna tentare di farlo. Il profeta è colui che conosce la storia dominante e, dentro questa storia, ne annuncia un’altra migliore. La nostra città ha inventato ed esportato in tutto il mondo la pax romana. Questa pace riassume la storia di questa città. La pace politica sotto il dominio di un impero. La pace sociale sotto il controllo di un governo di pochi. La pace religiosa che risulta da un’ammucchiata di credenze messe una accanto all’altra. La pace che porta benessere e divertimento per chi sta dalla parte giusta dell’impero mentre infligge povertà e schiavitù per chi sta dalla parte sbagliata dell’impero. Noi siamo nel bel mezzo dei simboli antichi di questa pace: gli archi di trionfo, i templi religiosi, le terme, il mercato, il Colosseo che è la rappresentazione plastica della pace romana.
Su questa storia si è innestata quella dell’impero religioso seguito all’impero romano. Anche qui la pace è stata promessa per chi era sottomesso all’autorità della chiesa. Gli affari sono fioriti grazie alla chiesa, la città porta i segni di questa storia religiosa che offre pace mantenendo strutture imperiali e producendo un misto di falsità e delusione, addirittura in nome di Dio. Noi siamo nel bel mezzo di questo impero religioso. L’impero romano, l’impero religioso, l’impero dello stato. Roma è la capitale d’Italia dove operano le principali funzioni dello stato italiano. Queste strutture si sono sovrapposte a quelle imperiali e religiose, riproducendo le distorsioni, le doppiezze, le delusioni dell’una e dell’altra. La storia di Roma dice che per avere pace devi stare vicino al potere religioso e politico, costi quello che costi, trovando ogni sotterfugio possibile per rimanere lì. Le persone abitano in mezzo a questa storia, è dentro di loro. Questa storia ha profeti potenti che la alimentano continuamente. Se vogliamo essere una comunità di profeti, dobbiamo cercare di capire dove siamo. Noi siamo proprio qui dove i profeti della città hanno posto i loro punti simbolici che promettono a Roma una pace vuota, falsa, deludente.
2. Sovvertire la storia di Roma con la storia dell’evangelo
Essere profeti significa sapere che se non è Dio a plasmare la nostra storia, saranno gli idoli a farlo. Gli idoli sono dei sostituti di Dio che illudono di dare e fare ma che deludono e opprimono. La pace romana è una storia apparentemente dorata, maestosa, monumentale, ma realmente oppressiva perché fa leva su soggetti che non possono dare ciò che promettono. La vita dei più è caotica, stressata, depressa, conflittuale, fatta di compromessi e sotterfugi, di tentativi continui di approfittarsene a scapito degli altri. Altroché pace! Qui vige la guerra travestita da pace!
La comunità profetica deve avere la capacità di capire e di provare empatia per la storia della città, ma deve avere altresì il coraggio di sovvertire quella storia con la storia dell’evangelo. Il problema di Roma non è primariamente sociale, politico o economico. Il problema è spirituale. C’è un cancro spirituale che si è insediato ed incistito. Non il regno di Dio è stato promosso, ma il regno umano della sopraffazione e il regno religioso del privilegio. Non Dio è stato riconosciuto ma degli dèi che ne hanno preso il posto. Non la pace di Dio è stata cercata, ma la falsa pace degli uomini è stata impiantata. Nella storia di Roma c’è un problema di sistema che Dio deve correggere. Altrimenti la città rimarrà un museo morto.
L’evangelo di Cristo sovverte gli equilibri esistenti, scuote dalle fondamenta la storia accumulata, invita a vedere le cose da un altro punto di vista, incoraggia a smontare, decostruire la storia precedente per aprirsi alla storia di Dio. A volte i profeti possono apparire ruvidi, al limite abrasivi, perché raccontano una storia controcorrente e diversa che però ha il potere di guarire e di far vivere. Il messaggio dei profeti non è tanto una carezza che consolida quello che c’è già, quanto un colpo che scuote ciò che esiste e che sveglia chi lo riceve. Roma è stata abituata ad assimilare tutto e a diluire tutto. L’evangelo invece vuole riformare in profondità. Molte chiese rimangono sulla superficie e non toccano le corde profonde della storia della città. Il loro messaggio è così metabolizzato e reso innocuo. Sarà così anche per noi? O saremo un pungolo che inviterà tutti a guardare a Dio e alla sua Parola per ricevere salvezza e un nuovo inizio?
3. Mostrare come l’evangelo sia la migliore storia possibile per Roma
Profeti sono quelli che parlano in nome di Dio raccontando la sua storia che mette in discussione le nostre storie e che sono pronti a pagare le conseguenze di quello che annunciano. Nel portare l’evangelo a Roma, c’è però un’altra responsabilità associata al ministero profetico. Spesso si corre la tentazione di pensare che il profeta parla e basta. Annuncia ma non vive quello che dice. Proclama un messaggio, ma la sua vita è come quella degli altri. Molti credenti sono profeti sdoppiati: parlano ma non vivono. Hanno imparato un linguaggio, un vocabolario, ma la loro vita è esattamente come quella di tutti gli altri.
Noi abbiamo il privilegio di vivere il messaggio che abbiamo ricevuto. La buona notizia di Dio è ciò che ci motiva nel lavoro, nello studio, nella vita pubblica, nella famiglia, nel tempo libero, nella vita della chiesa, in ogni cosa che facciamo. Solo così la nostra profezia sarà credibile. Se è solo per aggiungere un messaggio, Roma ha già tanti messaggi e non sa che farsene di altre parole vuote. Se la comunità profetica vive, pulsa, incarna il messaggio che racconta, ecco che allora qualcosa succederà. Noi non vogliamo aprire un luogo di culto per arricchire il folclore religioso di questa città che già trasuda religione da tutti i pori. Noi vogliamo creare uno spazio dell’evangelo adibito all’ascolto della Parola di Dio che rinnova le vite. Una vetrina dell’evangelo che mostri la differenza che la fede in Gesù Cristo fa nelle vite. Una palestra dell’evangelo dove si esercitano le discipline della vita cristiana e si cresce nella fede. Un think tank, un laboratorio dell’evangelo dove si sogna e si promuove la sua diffusione nella città. Un rifugio dell’evangelo dove trovare fraternità e solidarietà cristiana.
La Parola di Dio ci ha raggiunti parlandoci del grande disegno di Dio creatore e salvatore del mondo. La sua storia è culminata con la venuta di Gesù Cristo, il Profeta di Dio morto per i nostri peccati e risorto per darci salvezza. Credendo in Lui abbiamo visto come le nostre storie erano involucri vuoti e inutili; al contrario, vivere nella sua storia ci ha dato vita e speranza. Al punto che vogliamo che anche altri ne vengano a sapere per sperimentare le grandi cose che Dio ha fatto. Vogliamo allora essere una comunità di profeti a Roma?
Leonardo De Chirico