La fede spegne la maldicenza - Giacomo 4:11-12

 
 

Predicatore: Raffaele Costagliola

Nelle domeniche precedenti abbiamo visto come Giacomo ci mette in guardia rispetto ai pericoli nascosti dietro le passioni corrotte dal peccato e come solo Cristo può aiutarci a superarle (Gm. 4,1-5); poi, come l’umiltà sia un elemento fondamentale della fede per resistere alle tentazioni del mondo ed essere innalzati da Dio (Gm. 4,6-10). Oggi, invece, vedremo come Giacomo ci ammonisce dei pericoli che si nascondono dietro la violazione del IX comandamento di Dio, “non attestare il falso contro il tuo prossimo” (Es. 20,16).

Lettura Giacomo 4,11-12

Prima di iniziare vorrei invitarvi a riflette su quanto sia diffuso nella nostra società il voler giudicare gli altri, criticarli, screditarli, il voler innalzarsi al di sopra degli altri con l’arroganza di essere i più saggi di tutti. La pandemia, invece di generare solidarietà, ha esasperato la situazione. Assistiamo quotidianamente a scene in cui i nostri rappresentanti politici si screditano e si accusano a vicenda anche attestando il falso, addirittura all’interno dello stesso partito, ognuno autoproclamandosi i soli in grado di gestire e guidare il paese. Pensiamo anche all’esistenza di movimenti diffamatori contro la campagna vaccinale; l’aumento del cyberbullismo tra coetanei e compagni di classe. Ci rendiamo conto che ad ogni sfera e livello della nostra società, siamo pronti a giudicare e distruggere la reputazione degli altri per affermare la nostra superiorità anche attestando il falso senza preoccuparci delle conseguenze. Questo non risparmia di certo il mondo evangelico.

Giacomo, in questi versi che abbiamo appena letto, vuole trasmetterci tre insegnamenti controculturali:

  • ama il prossimo, non maledirlo;

  • ubbidisci alla legge, non giudicarla;

  • riconosci Dio, non rifiutarlo.

1. Ama il prossimo, non maledirlo
Giacomo ci mette in guardia: Non sparlate gli uni degli altri (v. 11), o secondo altre traduzioni, non parlate gli uni contro gli altri. Diffamare, calunniare e offendere un membro del corpo di Cristo è una cosa abominevole agli occhi di Dio. Il “parlare contro” il proprio fratello è affiancato anche dal giudizio. Chi dice male del fratello (v. 11), giudica anche. Calunniare e giudicare non sono alternative, ma il calunniatore emette di fatto anche un giudizio.

Il parlar male, “attestare il falso” ed emettere un giudizio contro il prossimo sono sintomo di qualcosa che non va. Significa che ci stiamo facendo trasportare dalle nostre passioni peccaminose.

Ricordiamo di come la lingua sia uno strumento piccolo ma con poteri ed effetti devastanti (Gm. 3,11-12) e, se non domata dalla fede, è capace di trasmettere ira, maldicenze e scatenare conflitti. Inoltre, la lingua è strettamente legata al cuore. Ciò che diciamo rispecchia ciò che abbiamo dentro ed è dal nostro cuore che “escono cattivi pensieri, […] cupidigie, malvagità, frode, […] calunnia, superbia, stoltezza” (Mr. 7,21).

Le nostre lingue sono indomite e sono indomabili con la nostra sola forza (Gm. 3,8). Molto spesso, sopraffatti dalle nostre passioni, a malapena sappiamo ciò che stiamo dicendo in un determinato momento. A causa della nostra natura corrotta dal peccato, invece di amare il prossimo, siamo portati a giudicarlo in base al grado di ricchezza/povertà (Gm. 2), a riguardi personali (Gm. 2,9) e senza misericordia (Gm. 2,13). Giudichiamo pensando di essere “maestri” senza però averne le qualifiche spirituali (Gm. 3,1). Con le nostre parole siamo in grado di benedire Dio e contemporaneamente maledire gli uomini, che sono a sua immagine e somiglianza (Gm. 3,9). I nostri giudizi sono motivati da sentimenti di gelosia e di contesa (Gm. 3,13-14), trasportati da passioni irrisolte (Gm. 4). Siamo pronti a mentire spudoratamente davanti alla verità (Gm. 3,14).

Pensiamo a quanti rapporti si sono rovinati, quante amicizie sono state spezzate, quante reputazioni sono state demolite e in quante famiglie la pace è stata distrutta da parole dette con noncuranza o giusto per vantarci. Proviamo a pensare anche a quando è stata l’ultima volta che abbiamo incoraggiato il prossimo, un collega di lavoro, un vicino, nostro figlio, nostra moglie/marito.

Facciamo attenzione però a non cadere nel falso pudore che non possiamo/dobbiamo giudicare nessuno.  Giacomo non sta dicendo “nessuno mi può giudicare, nemmeno tu” (Caterina Caselli, 1966), ma che nel regno di Dio non c’è spazio per maldicenze e giudizi malsani, peccaminosi, espressi solo per generare contese e demolire la reputazione degli altri. Piuttosto, siamo in pochi a fare da maestri (Gm. 3,1) e “ogni uomo sia pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all'ira; perché l'ira dell'uomo non compie la giustizia di Dio” (Gm. 1,19-20). La fede in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo deve spingerci ad osservare il comandamento “ama il tuo prossimo come te stesso” (Lc. 10,27; Gm. 2,8); non lasciarti sopraffare dalla tentazione di fare del male. Ama il tuo prossimo, non maledirlo.

2. Ubbidisci alla legge, non giudicarla
Ma il parlar male del prossimo non comporta solo la violazione di un comandamento di Dio, ma ha delle conseguenze ben più profonde e gravi. Chi parla male e giudica il prossimo sta sì violando la legge, ma la sta anche giudicando. Se violiamo la legge e non ce ne pentiamo, significa che non la riteniamo giusta o importante. Ci stiamo elevando a giudici della legge (v. 11).

Facciamo un esempio. Quanti di noi in auto, o a piedi, siamo passati almeno una volta nella vita con il semaforo rosso? In un incrocio isolato dove non c’era nessuno, o le altre auto erano molto distanti e si aveva fretta di passare? Abbiamo pensato: “è vero che esiste la legge di non passare con il rosso, ma… secondo me in questo caso non si applica. Sono da solo, le auto sono molto distanti, non vedo pericoli, che senso ha aspettare?” Chiaramente in quel momento, non solo abbiamo violato la legge, ma esprimendo un giudizio sulla legge ci siamo elevati a giudici e avendo deciso di poter passare con il rosso siamo diventati anche legislatori. Inoltre, attraversando col rosso, abbiamo messo imprudentemente a rischio la nostra vita.

Giacomo sta dicendo proprio questo. La legge ci invita ad amare il nostro prossimo come noi stessi, e non a giudicarlo o a calpestarlo per soddisfare i nostri desideri; ma quando lo facciamo, evadiamo dalla legge di Dio. Diciamo, in effetti, che in quel momento, con quella persona e in quella circostanza la legge non si applica, che siamo esonerati dai suoi obblighi, e che in questo caso noi ne sappiamo più di Dio. Nel momento in cui decidiamo se, quando e come entra in vigore la legge di Dio per noi, stiamo di fatto giudicando la legge di Dio e ci facciamo legislatori al posto di Dio.

Il dovere dell’uomo è invece, da sempre, quello di ubbidire alla legge e non giudicarla, anche quando non sono chiare le ragioni. Solo Dio è legislatore e giudice (v. 12).

Inoltre, come attraversare un incrocio o le strisce pedonali con il semaforo rosso può mettere a rischio la nostra vita, così la disubbidienza arrogante e senza pentimento della legge di Dio porta inesorabilmente alla morte eterna.

Se ci troviamo in conflitto con i nostri fratelli, allora significa che non ci stiamo sottomettendo a Dio, non stiamo ubbidendo umilmente alla sua legge. Se screditiamo la legge, screditiamo anche Dio. Ergersi al di sopra delle Sue leggi e delle sue richieste significa mettersi al di sopra di Dio, significa ripetere il primo peccato di Adamo ed Eva in Eden (Genesi 3:1-7). Non giudicare, ubbidisci! Non giochiamo a fare Dio. Non dimentichiamo chi è Dio e chi siamo noi.

3. Riconosci Dio, non rifiutarlo
Tutto ciò non significa che nel mondo non dovrebbero esserci giudici né legislatori, ma l’intenzione di Giacomo è quella di sottolineare il fatto che solo uno è il legislatore.

Mentre le leggi dell’uomo possono subire modifiche o integrazioni, la legge di Dio ha validità permanente e i suoi giudizi sono per l’eternità. Uno solo è il Signore della vita e della morte, che può salvare e perdere (v. 12). “… Io faccio morire e faccio vivere, ferisco e risano, e nessuno può liberare dalla mia mano” (Dt. 32, 39).

Dovremmo avere grande timore di Dio perché, dopo aver ucciso, Egli ha il potere di gettar nella geenna, ovvero condannare a dannazione eterna (Lc. 12,4-5). Dio è un giudice tremendo, ma leggiamo anche che è colui che può salvare (v. 12).

Ci rendiamo conto che nessuno di noi è in grado di ubbidire integralmente alla legge, nessuno può uscire indenne dal giudizio di Dio, ma c’è una speranza, una via di salvezza. Dio ha provveduto a un piano di salvezza perfetto. Ha mandato suo Figlio, Gesù Cristo, a umiliarsi e a morire per noi. Cristo, l’agnello senza difetto né macchia (1 Pt. 1,19), ha vissuto una vita senza peccato per poi essere ingiustamente giudicato e condannato dagli uomini. In questo modo si è caricato dei nostri peccati, ha subito il giudizio di Dio che toccava a noi ed è morto al posto nostro. Risorgendo ha annullato gli effetti della condanna eterna di Dio.

Non malediciamo o giudichiamo l’altro perché nel farlo condanniamo noi stessi (Rm. 2,1). Riconosciamo che siamo peccatori così come il nostro prossimo che vorremmo giudicare e che tutti abbiamo bisogno dell’opera di Cristo per risultare senza peccato davanti al sommo giudice.

Attraverso ciò che diciamo e facciamo, proviamo a riconoscere il peccato che abbiamo dentro e umiliandoci confessiamolo a Dio e invochiamo il suo perdono. Riconosciamo che Dio è l’unico legislatore e giudice e riconosciamo Cristo come nostro salvatore. Sottomettiti a Dio, riconosci la sua sovranità, accetta Cristo, non indurirti ancora.

Concludo riproponendo la stessa domanda di Giacomo, “chi sei tu che giudichi il tuo prossimo?”.


Grazie a tutti coloro che sostengono la Chiesa Breccia di Roma con le loro offerte.